mercoledì 16 giugno 2010

La manovra va cambiata: lo chiedono all'unanimità i Sindaci dell'Emilia-Romagna


I Sindaci dei Comuni dell’Emilia-Romagna associati all’Anci riuniti in Assemblea a Modena il giorno 11 giugno 2010 hanno approvato all'unanimità un documento nel quale "esprimono forte preoccupazione per gli effetti che la manovra correttiva dei conti pubblici nazionali, esplicitata nel decreto legge 78 del 31 maggio scorso, avrà sulle comunità locali e sulle istituzioni locali e regionali.
"I Sindaci - prosegue il documento - sono ben consapevoli che il miglioramento dei conti pubblici nazionali costituisce una necessità prioritaria per il Paese e per dare all’Unione Europea una maggiore competitività e coesione economica e istituzionale nello scenario difficile della crisi economica internazionale e della mondializzazione dei mercati e dei sistemi di lavoro. Proprio per questo valutano la manovra come iniqua, sia dal punto di vista istituzionale che sociale, poco incisiva sotto il profilo delle misure strutturali per sostenere e rilanciare l’economia, l’impresa e il lavoro, non allineata e per certi versi addirittura contrastante con gli obiettivi condivisi del federalismo fiscale, del riordino istituzionale, della semplificazione e innovazione della pubblica amministrazione, del contenimento dei costi della politica e del riconoscimento del merito alle amministrazioni locali che operano in modo virtuoso, cooperativo e leale con lo stato".
"L’iniquità istituzionale - affermano i Sindaci - è contenuta nel fatto che agli Enti Locali si chiede di contribuire alla correzione dei conti nazionali per il 65% della manovra( comprensivo dei tagli che a cascata arriveranno ai Comuni, alle Province e alle Comunità Montane come conseguenza dei tagli imposti alle Regioni in materia sanitaria, sociale e dei trasporti pubblici locali) quando essi “pesano” per il 35% dell’intera contabilità pubblica nazionale. Questa iniquità poi si rafforza con i tagli lineari proporzionali che trattano allo stesso modo i Comuni che hanno operato bene (in Emilia-Romagna sono quasi la totalità) con i Comuni che invece non hanno contribuito né alla riduzione della spesa e al controllo dell’indebitamento, né al miglioramento della qualità e dell’efficacia della spesa.
Da questa iniquità istituzionale origina l’effetto sociale negativo perché sono i Comuni che hanno fronteggiato, in prima linea e in Emilia-Romagna senza distinzioni di schieramento politico, le conseguenze sociali della crisi e l’emersione dei nuovi bisogni e delle nuove domande sociali: lo dimostrano i tanti accordi anticrisi che hanno stipulato con le parti sociali e con le imprese del credito e lo sforzo per modulare,innovare, estendere, anche in carenza delle tanto attese riforme fiscali, contributive e istituzionali nazionali, le politiche di welfare. Per questo i Sindaci dicono che fare tagli così pesanti non può che riverberarsi in una riduzione del sostegno al reddito e del sistema dei servizi per le comunità locali: la manovra sulle tariffe, se rapportata alla dimensione dei tagli, è assolutamente insostenibile per le comunità ( i Comuni dell’Emilia-Romagna coprono già oggi in media i costi dei servizi al 50% con le tariffe ) e non è credibile pensare che le risorse tagliate possano essere compensate dal recupero della sola evasione fiscale che ai Comuni, non a caso, verrebbe assegnato nella misura del 33% proprio in virtù del loro peso specifico del 35%. Anche le misure proposte sulla riduzione dei costi della politica appaiono inique, contraddittorie( la norma sulle indennità dei consiglieri comunali in Emilia-Romagna potrebbe addirittura fare crescere i costi attuali) e penalizzanti per la democrazia locale;così come quelle sulla gestione associata obbligatoria delle funzioni fondamentali per i Comuni fino a 5000 abitanti che opera senza considerare che, in questi casi,la qualità della spesa migliora strutturalmente nel medio periodo e ha bisogno di risorse di “start up” e di accompagnamento temporaneo come dimostra l’esperienza dei Comuni dell’Emilia-Romagna che solo così, in intesa con la Regione, ha potuto realizzare la realtà di 305 Comuni su 348 che gestiscono oggi funzioni in forma associata. I Sindaci dell’Emilia-Romagna chiedono che in sede di conversione del Decreto da parte del Parlamento questi caratteri di iniquità vengano cambiati e che la legge di conversione sia allineata con i provvedimenti attuativi del federalismo fiscale (introducendo scelte di modifica strutturale delle regole del patto di stabilità e di rilancio dell’autonomia finanziaria dei Comuni consentendo loro di governare la leva delle entrate),abbia il coraggio di prevedere qualche misura di sostegno all’economia, agli investimenti, ai servizi pubblici locali e modifichi le norme centralistiche che, come nel caso delle norme sul catasto, produrranno aumenti di spesa statale e peggioramento dei processi di semplificazione, innovazione diffusa, cooperazione e integrazione amministrativa. In questa situazione di crisi economica appare incomprensibile che lo Stato insista in politiche che deprimono gli investimenti degli Enti Locali, che sono una risorsa vitale fondamentale per il Paese rappresentando il 70% di tutti gli investimenti pubblici, perché non riesce a razionalizzare la sua spesa e non riesce a distinguere tra gestioni contabili più o meno efficienti dei Comuni. Che lo Stato sia meno virtuoso dei Comuni nel governo della spesa lo ha detto più volte la Corte dei Conti, che i Comuni dell’Emilia-Romagna abbiano, nel loro complesso, un basso tasso di indebitamento ( 4% ) è un dato di fatto, che questo tasso comprenda opere già finanziate per 2,8 miliardi con lo Stato che consente loro di pagarle solo per 22 milioni è un’assurdità perché la manovra invece di consentire ai Comuni con i conti in regola e con le risorse disponibili di poter aprire nuovi cantieri e di poter procedere a pagare le imprese per i lavori già eseguiti, rende ancora più stringenti i vincoli e le sanzioni. La conseguenza, nell’immediato, è di una ulteriore riduzione degli investimenti e di un ulteriore allungamento dei tempi di pagamento. Nel medio e lungo periodo sarà di aumento della spesa pubblica perché ci sarà una moltiplicazione delle richieste di riconoscimento degli interessi per ritardato pagamento con conseguente aggravio dei costi per le opere già eseguite".

Ecco quindi le proposte e le richieste dei Sindaci:

1. Avere le risorse necessarie per continuare a garantire i servizi sociali, il trasporto pubblico e migliorare con gli investimenti la qualità della vita dei nostri cittadini, azzerando i tagli agli Enti locali e alle Regioni e modificando il peso di una manovra che grava troppo e ingiustamente su di loro; 2. Modificare il patto di stabilità per utilizzare i soldi risparmiati in questi anni: i Comuni potrebbero pagare con celerità le imprese che hanno lavorato e contribuire in modo significativo alla ripresa dell'economia; 3. Avere un federalismo VERO: le risorse prodotte dal territorio vadano in misura adeguata a chi si occupa dello sviluppo locale si consenta ai Comuni di governare le entrate; 4. Cambiare le regole del patto di stabilità che oggi premiano chi sperpera e puniscono chi è virtuoso e opera bene; 5. Regionalizzare il patto di stabilità consentendo che i risparmi prodotti dall’efficienza e dall’efficacia della spesa degli Enti Locali restino sul territorio e fissando obiettivi di miglioramento della spesa per aggregati territoriali che agiscono come sistemi territoriali di istituzioni locali; 6. Rivedere il blocco dei rinnovi contrattuali dei lavoratori del pubblico impiego e agganciando la manovra in modo strutturale alla riforma della pubblica amministrazione e a parametri che valutino produttività e qualità della spesa senza penalizzare i Comuni ad alta dotazione di servizi".
"La democrazia locale e le sue Istituzioni - conclude il documento - sono linfa vitale per un Paese che vuole riprendere a camminare e ad innovarsi senza lasciare indietro nessuno; prosciugarla renderebbe il Paese più debole".

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